"Il nuovo sud dell'Italia" dentro un film

In prima ticinese al Cinema Lux la pellicola del regista calabrese Pino Esposito.

Di Guido Grilli laRegioneTicino

«Volevo capire più a fondo   il fenomeno che stava vivendo la mia terra». Per mia terra Pino Esposito, documentarista   di Rossano Calabro emigrato tredici anni fa a Zurigo, intende la Calabria e più in generale il sud Italia, trasformatosi da luogo di emigrazione di lunga tradizione a luogo di immigrazione.

Così la tematica, tanto complessa quanto attuale, è diventata materia di un film documentario di grande interesse: Il nuovo sud dell'Italia, che dopo essere approdato nelle sale d'oltre Gottardo (Cinema RiffRaff Zurigo, Cinema KellerKino Berna, Cinema Stattkino Lucerna) e alle Giornate di Soletta sarà proiettato in prima ticinese questa sera alle 20.30 al Cinema Lux di Lugano.

Nella pellicola viene documentata anche la rivolta di Rosarno scoppiata lo scorso gennaio tra gli immigrati africani impegnati a raccogliere arance in condizioni disumane e gli abitanti della cittadina calabrese.

«Il film era praticamente terminato e quando si è accesa la protesta a Rosarno, già in atto dal 2008, il giornalista Vincenzo Canale che ha contribuito alla realizzazione del documentario si trovava sul posto e ha quindi ripreso i conflitti agghiaccianti avvenuti a gennaio, con i quali abbiamo deciso di concludere la pellicola».

Sulle cause che hanno contraddistinto la rivolta di Rosarno vi sono state molteplici chiavi di lettura: c'è chi ha parlato di aperto razzismo, chi di una protesta sorta per uno sfruttamento inaccettabile degli immigrati - la manodopera più economica e più facilmente ricattabile - i soli, ha dichiarato lo scrittore Roberto Saviano, ad avere avuto il coraggio di ribellarsi al controllo della 'ndrangheta. Lei che idea s'è fatta?

«Io penso che in Calabria ci sia una grande contraddizione: da un canto ho visto persone   prodigarsi nell'aiuto agli immigrati - c'era chi portava loro da mangiare, chi li accudiva - e poi dall'altra parte persone dominate dalla paura di dire le cose come stanno e che a domande sulla presenza della 'ndrangheta ti rispondono: 'sì, potrebbe essere, però non si sa...'. Ritengo tuttavia che sui fatti di Rosarno questa volta la 'ndrangheta c'entrasse di meno perché gli sfruttatori degli immigrati sono stati perlopiù persone senza scrupoli e non per forza appartenenti alla 'ndrangheta».

Il debole tessuto economico del sud Italia appare un altro motivo di conflitto: gli immigrati raccoglievano arance e mandarini per 25-30 euro al giorno, una retribuzione non molto superiore a quella degli stessi abitanti di Rosarno.

«Infatti. Ritengo che questa grande tensione sia stata originata da una lotta tra poveri, per cui il povero cerca di sfruttare chi è più povero di lui; e colui che è a sud cerca di trovare un sud più a sud...».

Ma il film non parla solo della Calabria e abbraccia altre realtà del Mezzogiorno.

«A Napoli, in Sicilia, in Puglia ci sono situazioni simili a quella calabrese. Purtroppo nel momento in cui nel nord Italia si àncora questo rifiuto a prescindere dell'immigrato - penso alle ronde legalizzate della Lega, alle leggi razziste usate come deterrente per ostacolare in ogni modo l'immigrazione clandestina o alla norma introdotta nei confronti dei senza fissa dimora per cui si è deciso di schedarli in un 'registro dei clochard' -   questo, l'immigrato, è spinto ad allontanarsi e a raggiungere il sud Italia, dove però mancano le infrastrutture in grado di assicurare accoglienza e dove l'agricoltura è l'unico sbocco di sopravvivenza che costringe però a dividersi quel poco che c'è. A me spiace che a pagare siano state le comunità africane che tanto hanno contribuito a mandare avanti l'economia del sud. Dopo la rivolta di Rosarno la maggior parte degli immigrati africani se n'è andata - un epilogo che ha costituito una grande sconfitta per tutti. Solo pochi di loro, legati da affetti, sono rimasti. Ora che le persone di colore sono state costrette ad andarsene sono proprio curioso di vedere l'anno prossimo chi andrà a raccogliere le arance: un lavoro durissimo. Un lavoro di sfruttamento»